COP28: stanchi di parlare della giustizia climatica? Sì e no!
La crisi climatica deve trovare risposte urgenti e che non si lascino distrarre dalle crisi umanitarie internazionali del contesto attuale: un contributo di Juan Pablo Solis, Senior Advisor clima e ambiente di Fairtrade International.
Mentre mi preparo a mettere la testa su un altro Summit delle Nazioni Unite sul clima – stavolta negli Emirati Arabi – devo ammettere di provare sentimenti ambivalenti.
Da una parte, non vedo l’ora di incontrarmi con attivisti interessati al clima e alla giustizia nel commercio da tutto il mondo – impegnati e appassionati nel chiedere un mondo più giusto e più sostenibile.
Dall’altro, so per amara esperienza – la COP28 sarà la mia settima – che ci aspettano lunghe ore, discussioni tortuose, loschi accordi nel retrobottega e infinite tazze di caffè (credetemi, in quanto appassionato di caffè che lavora per Fairtrade, il buon caffè è particolarmente importante).
Allora cosa continua a spingere me – e tutti gli altri attivisti della società civile – a tornare alle COP annuali sul clima? Fondamentalmente, siamo ottimisti.
Crediamo che, nonostante la mancanza di progressi e l’apparente indifferenza di alcuni governi e imprese nei confronti del destino delle persone e del pianeta, alla fine troveremo una via d’uscita da questa situazione.
I programmi climatici devono rispondere alle esigenze degli agricoltori
Quest’anno è diverso. In collaborazione con Fair Trade Advocacy Office (FTAO) e World Fair Trade Organisation (WFTO), Fairtrade ha elaborato un progetto ambizioso ma realistico che i governi, le imprese e i leader mondiali devono seguire per evitare una catastrofica insicurezza alimentare e un aumento della povertà per milioni di agricoltori e lavoratori.
Insieme, rappresentiamo più di due milioni di produttori, agricoltori e lavoratori agricoli in tutto il mondo, le cui vite, i cui mezzi di sussistenza e la cui stessa esistenza sono minacciati dagli impatti del cambiamento climatico.
E sono solo la punta dell’iceberg. Altri milioni di persone vivono nei Paesi più vulnerabili al clima e devono affrontare una crisi che non è di loro competenza.
Quest’anno ci presenteremo alla COP armati di una proposta di giustizia climatica e commerciale che permetterà ai leader globali della COP28 di prendere l’iniziativa.
Come dice il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: “Basta esitazioni, basta scuse, basta aspettare che altri si muovano per primi. Non c’è più tempo per questo“.
Per cominciare, il movimento del Fair Trade chiede che i governi mantengano le promesse di sostenere le comunità agricole vulnerabili con gli strumenti tecnici, le competenze e i finanziamenti necessari per l’adattamento al clima.
Molte di queste richieste non sono nuove: le precedenti COP hanno visto molteplici promesse di finanziamenti e altri tipi di sostegno, ma poco si è concretizzato.
Chiediamo semplicemente giustizia climatica: che i Paesi più ricchi – che dopo tutto hanno causato gran parte della crisi climatica – mantengano le promesse già fatte.
L’azione per il clima e l’eliminazione della povertà vanno di pari passo
In secondo luogo, i responsabili delle decisioni negli Emirati Arabi Uniti devono capire che la giustizia climatica e la giustizia commerciale sono legate indissolubilmente: non ci può essere l’una senza l’altra.
Troppo spesso, filiere inique mantengono gli agricoltori e le comunità in condizioni di povertà estrema, e la povertà e il degrado ambientale sono interconnessi.
Se i Paesi più ricchi vogliono realizzare seriamente le loro ambizioni in materia di clima, devono riconoscere che le filiere globali devono abbandonare il profitto a tutti i costi e orientarsi verso la sostenibilità economica e ambientale.
Non c’è bisogno di credermi sulla parola. Basta ascoltare Bayardo Betanco, coltivatore di caffè Fairtrade e membro della cooperativa Prodecoop in Nicaragua.
“C’è una catena sulla terra che inizia dove sono i produttori. Sono loro a subire le conseguenze del cambiamento climatico, sono loro che ricevono meno aiuti e si fanno carico di tutto il peso. Non è giusto”.
“Non è giusto” è un ritornello che verrà ripetuto più volte alla COP28. Perché i piccoli agricoltori, le loro famiglie e comunità – senza i quali gran parte del mondo morirebbe di fame – dovrebbero soffrire di più per una crisi climatica che non hanno causato?
Anche se i governi non sono convinti delle argomentazioni a favore dell’equità e della giustizia commerciale, farebbero bene a prestare attenzione ai rischi per la sicurezza alimentare globale se non agiscono con urgenza.
Poiché sempre più terreni diventano inutilizzabili a causa di eventi climatici estremi, cambiamenti dei modelli meteorologici e risorse idriche sempre più scarse, sia la qualità che la quantità dei raccolti sono minacciate.
Fairtrade prevede che, se non acceleriamo le azioni per il clima, entro la metà del secolo fino alla metà di tutti i terreni attualmente utilizzati per la coltivazione del caffè potrebbero non essere più utilizzabili; potrebbe esserci un drastico calo della produttività delle banane; e il Ghana e la Costa d’Avorio, che producono oltre la metà del cacao mondiale, diventeranno troppo caldi per coltivare questa coltura.
Per quanto difficile, potremmo sopravvivere senza caffè, banane e cioccolato, ma anche altre colture di base come il mais e il riso sono in pericolo.
“L’impegno per la sostenibilità, nell’accezione più ampia e inclusiva del termine, non può che coinvolgere innanzitutto le giovani generazioni”, ha sottolineato l’Assessore alle Politiche Educative del Comune di Piacenza Mario Dadati.
“Investire risorse e progettualità sulla formazione significa dare un contributo concreto perché l’equità sociale ed economica, il rispetto dei diritti e della persona diventino non solo fondamento e modello di riferimento per le imprese del futuro, ma un vero e proprio stile di vita. Il lavoro che Fairtrade Italia svolge con le scuole è prezioso perché mira ad accrescere la consapevolezza, il senso di responsabilità e l’etica come guida cui improntare ogni scelta personale.
Credo che questa sia una componente irrinunciabile nel processo di crescita delle ragazze e dei ragazzi: Piacenza è orgogliosa di tutti loro e del risultato conseguito dall’istituto Romagnosi”.
“Abbiamo osservato con grande attenzione il percorso svolto dal Romagnosi e siamo davvero colpiti dalla grinta con la quale questi ragazzi, con gli insegnanti che li hanno accompagnati, hanno affrontato i temi dei diritti delle persone e dell’ambiente per diventare protagonisti del cambiamento. Siamo certi che il Romagnosi potrà essere un modello per tante altre scuole in tutto il nostro paese” ha dichiarato Giuseppe Di Francesco Presidente di Fairtrade Italia.
Come diventare una “Scuola Fairtrade”?
Il Romagnosi è il primo Istituto in Italia a ricevere il riconoscimento, e si aggiunge alle già 1200 Fairtrade schools in tutta Europa.
Parte quindi una campagna per il coinvolgimento delle scuole di tutto il paese sui temi di giustizia sociale e climatica di cui si occupa Fairtrade. I requisiti per aderire all’iniziativa sono quelli di svolgere attività di formazione in almeno tre classi durante l’anno e di inserire progressivamente dei prodotti nelle attività della scuola, ad esempio in occasione di eventi, o nelle mense. I criteri verranno annualmente verificati.